Era qui da un paio di mesi buoni, nelle bozze, aspettando la disponibilità mentale del sottoscritto ad analizzare quel concetto che avrei dovuto scrivere e fissare subito e non abbandonare tra una interpretazione e l'altra di ciò che si è successo.
E' accaduto dopo una settimana buona di risate, ammiccamenti, luoghi comuni, Lady Gaga, rievocazioni, film, citazioni, canzoni, abbracci, carezze, Dave, confessioni, passeggiate, Manson, tazze di thè, biscotti, ore piccole, dopo una serata di pazzo divertimento assuefatti ad un improbabile ma *favolousho* gruppo di amiche, che arrivò per Will & Grace il momento di salutarsi. E fu il disastro. Un pò per merito di entrambi. Ma si sa che l'equilibrio nelle relazioni non è proprio una loro prerogativa. Se quella sera, le parole che accompagnavano Vincent e Jules erano volte a rievocare una latente amarezza per l'accaduto, oggi lo sono per ricordare ad entrambi quanto forte è il legame che li unisce.
E Grace potrà passare qualche pomeriggio tra un adattamento e un colto mammuth.
E Will scambierà equivoci sguardi con una pin-up ogni volta che preparerà la cena.
Pulp Fiction (Quentin Tarantino - 1994)
domenica 29 agosto 2010
3D, la (terza) dimensione del 2010
E’ ormai passato più di un secolo da quando due ingegnosi fratelli francesi, i Lumière, gettarono inconsapevolmente le basi di quella che col passare degli anni si sarebbe rivelata una delle poche e maggiori industrie dell’intrattenimento mondiale.
Il cinema si presta a molte definizioni, abbraccia concezioni del suo significato talvolta opposte e veste i panni di un personaggio dal ruolo a mio avviso importante nella vita di tutti noi, anche quotidianamente e soprattutto anche quando noi non ce ne rendiamo conto; ci influenza, ci ispira, ci fa provare ogni sorta di emozioni permettendoci di viaggiare in luoghi che non credevamo potessero esistere davvero.
Possiamo azzardare a conferirgli il ruolo di “padre” della comunicazione moderna, quella che avviene tra un soggetto ed un altro soggetto-oggetto, quest’ultimo spesso rappresentato dallo schermo. E’ difficile immaginarsi la multimedialità, come la conosciamo noi, nella sua forma più evoluta, che oggigiorno invade capillarmente ogni settore delle nostre vite, come un’entità non imparentata alla lontana con la cinematografia, in quanto forma di espressione visiva, nata all’inizio del secolo scorso.
L’immagine di un individuo che si relaziona in maniera sostanzialmente passiva con un’entità così astratta quanto reale, che si manifesta ad esso come una finestra verso un’altra dimensione, è la trasposizione di ciò che sta avvenendo al rapporto tra l’uomo ed il cinema.
Dalla sua nascita, il cinema ha compiuto un percorso di evoluzione fortemente influenzato dalla commistione tra innovazioni tecnologiche e stile/genere narrativo. Talvolta i momenti di forte cambiamento si sono rivelati traumatici per il sistema poichè, in quanto tali, hanno rivoluzionato non solo il prodotto cinematografico in senso stretto, quanto tutto il sistema tecnico, economico, commerciale, sociale che è in rapporto di simbiosi ed in costante crescita con esso.
Sorge spontaneo supporre che in corrispondenza del raggiungimento di questi stadi progressivi, si sia verificata l’introduzione di nuovi standard, nuovi linguaggi, nuovi veri e propri fenomeni sociali: la televisione, per esempio, che vide la luce negli anni ’30, può essere considerata una discendente del grande schermo dal punto di vista narrativo e concettuale dei contenuti trasmessi, ma una discendente non così diretta, dal punto di vista tecnico, come sappiamo.
In quel periodo, infatti, più precisamente nel 1927, atterrò sul pianeta cinema il sonoro: per la prima volta una componente sonora è sincronizzata alle immagini che scorrono sullo schermo. Le conseguenze di ciò sono innumerevoli in ogni ambito e decisamente importanti.
Il maestro del thriller Alfred Hitchcock, nella celebre intervista a cura di Francois Truffaut, ricorda le vicende legate alla produzione del suo primo film contenente scene sonorizzate; difficoltà dal punto di vista tecnico durante le riprese sul set (dovute alla necessità di avere le voci registrate in tempo reale), elevati costi delle attrezzature per la presa diretta del suono e più di ogni altra cosa la consapevolezza che una innovazione di questo tipo avrebbe per sempre stravolto il modo di fare cinema: i grandi maestri del film muto di quell’epoca, abituati e soprattutto capaci di comunicare attraverso le immagini “sorde”, seguendo la loro corrente artistica, studiando in maniera approfondita e passionale il linguaggio da adoperare ed attuare sullo schermo, si sono visti nelle mani, con l’arrivo del sonoro, un’arma a doppio taglio, capace di arricchire piacevolmente e degnamente le loro opere, ma anche, se sottovalutata, di mutilare la componente comunicativa del decoupage, tentandoli con la comodità di un narratore sicuramente più immediato e semplice da mettere in campo. Ma non c’è dubbio che questi uomini di cinema avrebbero saputo come relazionarsi con i nuovi mezzi, senza cadere nel tranello; Hitchcock è un esempio per tutti ed i suoi film sarebbero cresciuti negli anni assieme alla tecnologia, ma mai sottomessi ad essa in maniera miope. La questione riguarda invece i registi cresciuti nell’epoca del sonoro, che han svuotato di significato le immagini per farle letterlamente parlare. Può essere considerato un passo indietro? Un cambiamento di stile, sicuro, ma verso un impoverimento del linguaggio cimenatografico? Quel che è certo è che ci si è trovato davanti ad una inevitabile trasformazione del sistema, poichè se il regista dal suo punto di vista “artistico” poteva preferire o meno il suono nel suo film, il produttore consigliava caldamente, per non dire che la esigeva, l’adozione della nuova tecnica, ed il pubblico la chiedeva a gran voce. Da questo punto di vista il cinema ha beneficiato di una forte spinta e crescita come fenomeno sociale, per cui non si può parlare di passi indietro in maniera assoluta.
Volendo definire il cinema, oltre che come fenomeno sociale, come un’arte ci troviamo a scindere due componenti distinti dell’ambito cinematografico: un piano artistico, ed un piano economico; partendo dal presupposto che in generale è difficile attribuire un valore materiale ad un bene artistico, è chiaro invece come questo sia sottomesso al valore che inevitabilmente gli viene attribuito. Suddetto valore è però la spinta che il più delle volte fa la differenza sulla bilancia: se un regista guarda al suo film come alla “concretizzazione” di un percorso, al raggiungimento di uno stato artistico e concettuale, un produttore oltre a questo, vede il più delle volte un ritorno economico; ritorno che sarà tanto maggiore quanto più sarà elevato il valore del prodotto. E questo valore intrinseco del film, che alla fine dei conti si traduce nel prezzo del biglietto che viene chiesto allo spettatore, fa la differenza sulla decisione di quest’ultimo di andare a vedere il film, quindi con l’offerta di qualcosa di speciale che giustifichi la spesa; tutto ciò si traduce nella volontà da parte di chi finanzia di voler sfruttare al massimo le innovazioni, e da parte di chi dirige, di dover stare al passo coi tempi.
(Occorre forse specificare che questo modello si applica per lo più ad una produzione commerciale, di tipo block buster o quantomeno su questa linea; risulta difficile che seguano queste dinamiche le produzioni di serie B e C, i film d’essay o indipendenti, i documentari e simili, proprio per la loro natura di rivolgersi ad un determinato tipo di pubblico e di sussistere in circuiti di nicchia.)
Questo a grandi linee è il concetto sul quale si basa il motore perpetuo che gestisce una buona fetta della produzione cinematografica ma anche di audiovisivi più in generale perchè come abbiamo detto, le trasformazioni avvengono a livello di sistema ed interessano col tempo tutti i settori. Sarà questa la filosofia, che andremo ad indagare rispetto alle ultimissime innovazioni in fatto di resa stereoscopia delle immagini, o meglio di 3D.
Prima però torniamo indietro di qualche decennio, nel momento in cui le sale cinematografiche smisero di aver bisogno di un pianista nascosto dietro allo schermo, per ricordare un successivo passo avanti (iniziato già nella seconda metà degli anni ’30, e stabilizzatosi nei successivi ’40) riguardante l’introduzione del colore, in una realtà che fino ad allora era mostrata in scala di grigi, bianco e nero. Precisiamo che non ci stiamo riferendo ai metodi di colorazione della pellicola tramite viraggio cromatico di ogni singolo frame, utilizzati sin dagli albori del cinema muto da grandi autori, uno su tutti Georges Méliès, ma dell’ingresso nel mercato cinematografico del Technicolor, che con i successivi perfezionamenti sarebbe rimasto largamente utilizzato fino agli anni ’60.
Il colore in sala non sarebbe stata una rivoluzione della portata della precedente, ma ricopre comunque una certa importanza come tappa nella storia del cinema; il colore conferisce realismo all’immagine, permette di creare giochi di stile basati sulla cromia che se resi in maniera non canonica ed impiegati come mezzo di espressione, sono in grado di completare la narrazione e guidarla addirittura.
Ovviamente il pubblico gradisce, eccome. Il marketing dei “grandi” film dell’epoca punta molto sul colore, come si può notare dalle locandine che non mancano di esaltare a caratteri cubitali la presenza del “Technicolor!”.
Abbiamo visto però, che molti autori non accolgono positivamente le novità, almeno non subito, ed anche in questo caso continuano a produrre film come han sempre fatto; bisogna ammettere che alcune volte però hanno ragione di farlo. Arriviamo dunque a parlare del fenomeno mediatico di più recente interesse, legato in gran parte alle possibilità di ritorno economico, viste le enormi somme di denaro investite in tutto il mondo dell’intrattenimento, e sul quale ci sono ancora tante tante domande che, trattandosi di una questione analizzata puramente in divenire, non troveranno risposta immediata. Stiamo parlando della stereoscopia, o con la sua accezione commerciale, il 3D.
Innanzitutto bisogna sapere che siamo di fronte ad una tecnologia giovane in maniera relativa; volendo essere pignoli, già all’epoca dei Lumière, nel 1922, venivano presentati al pubblico spettacoli adattati per essere visti in 3D; attenzione però che gli stratagemmi utilizzati erano decisamente rudimentali e si basavano sulla tecnica dell’anaglifo (ovvero due immagini sovrapposte che rappresentano il punto di vista di ciascun occhio e che tramite l’utilizzo di filtri colorati applicati a degli occhialini, danno l’illusione della profondità nel quadro); nel vicino 1932 vediamo l’introduzione delle lenti polarizzate, riscoperte però solo negli anni ’50 e ‘60, e sfruttate nelle proiezioni di numerosi film in alcune coraggiose sale (tecnologia, questa, decisamente più complessa e non priva di “effetti collaterali” per il pubblico, basata sull’esclusione attuata da parte appunto delle lenti polarizzate degli occhialini, di una delle due immagini proiettate contemporaneamente sullo schermo per ogni occhio). Al giorno d’oggi l’impiego del Digitale consente di gestire la stereoscopia in maniera decisamente migliore, per non dire ottimale, il che ha reso possibilie un utilizzo veramente esteso di questo mezzo dalle potenzialità, sembra, davvero promettenti.
Dopotutto il concetto della terza dimensione, e la curiosa attrazione verso questa illusione, sta nel costante farsi vicino del mezzo all’uomo: la stereoscopia non fa altro che tentare di ricreare sullo schermo bidimensionale la nostra visione prospettica del mondo; due occhi con due punti di vista leggermente diversi per darci la sensazione di essere all’interno di un mondo, e non di guardarne una riproduzione. Il concetto c’è da sempre, il mezzo si sta solo da ora rendendo in grado di supportarlo. Attualmente questo tramite è rappresentato dai famigerati (e talvolta definiti ridicoli) occhialini, che sono lo strumento attraverso il quale si manifesta a noi questa intrigante tecnologia.
Nel mese di giugno della rivista “Connessioni”, specializzata in Tecnologie e Tendenze nel Mondo del Building & Home Automation, troviamo un articolo di Rolando Alberti: “Il Fenomeno 3D – Da Wheatsone ai mondiali di calcio”; l’autore ci aiuta a capire cosa è stato scoperto, innovato, introdotto nel mercato dell’entertainment riguardante l’ambito del 3D, e cosa si arriverà a vedere nel prossimo periodo; Alberti affronta l’argomento da un punto di vista tecnicamente approfondito, professionale ma allo stesso tempo accessibile, fornendo una panoramica dettagliata dello stato attuale delle cose in particolare riferendosi a fette di mercato che forse non tutti sappiamo essere già state invase dalla terza dimensione. La questione è che ancora non ci siamo abituati alle proiezioni al cinema, che il settore consumer è già pronto per sfornare apparecchi e contenuti 3D: dall’home entertainment, con televisori e lettori blu-ray 3D ready, ai videogiochi, videocamere comsumer 3D, agli schermi destinati a svariati utilizzi come monitor per computers, smartphones, digital signage e soprattutto la televisione; la situazione in questo senso è alquanto caotica: in Gran Bretagna nel gennaio 2010 è stato effettuato il primo esperimento di trasmissione di un evento live in 3D, avvenuto in alcuni pub londinesi e sostenuto dal colosso SKY; il largo consenso evidentemente riscontrato ha convinto la piattaforma privata ad integrare alla normale trasmissione di contenuti premium, anche un canale 3D, che verrà infatti messo in onda il prossimo Ottobre. I punti di forza di un canale con queste caratteristiche saranno innanzitutto lo sport, che pare essere uno dei maggiori contenuti che fanno da traino a questa tecnologia, ed i film in 3D. Sorge spontaneo chiedersi ora, ma gli spettatori di un canale 3D hanno i mezzi per usufruire al meglio i contenuti? In realtà televisori con tecnologia 3D ready sono già sul mercato, con dei prezzi che non ci lasciano indifferenti ma che certamente tra qualche tempo si dimostreranno accessibili (il parallelo con quanto accadde con l’alta definizione viene spontaneo). Sembra tutto semplice e già avviato ma non è così, i problemi sono davvero molti: per esempio Samsung ha in produzione diversi modelli di TV 3D sui quali sta spingendo molto, ma una inaspettata dichiarazione della ditta ha freddato l’atmosfera; viene pubblicato sul sito ufficiale un “avvertimento per la salute”, che non è cosa da poco, in quanto riguarda gli effetti collaterali riscontrati da bambini, donne in gravidanza, anziani dopo la visione dello schermo 3D. Sicuramente una mossa necessaria per la prevenzione, ma le perplessità ci derivano dal fatto che il settore è già ad uno stadio della produzione di tecnologie per il mercato che non è compatibile con un’inversione di marcia di questa portata in quanto il capitale investito è ingente. Un altro problema da non sottovalutare è, sempre tenendo presente che ormai la produzione è avviata da diverse multinazionali high-tech, la mancanza di uno standard definito sia dal punto di vista della produzione di contenuti, che da quello della loro fruizione. E questa è una grave mancanza perchè nel momento in cui si dovrà definirlo, ogni produttore dovrà fare i conti con gli altri rivali per imporre le proprie caratteristiche tecniche come standard di mercato. Si prevede che la tecnologia più diffusa sarà quella LCD e relativi occhialini. Ed è proprio su questo componente che sussiste un altro dibattito centrale: le scuole di pensiero sono due, una che sostiene l’utilizzo degli occhiali per la visione dello schermo 3D, l’altra che punta maggiormente per la ricerca e lo sviluppo di sistemi auto-stereoscopici (in grado cioè di ricreare l’effetto della profondità nello schermo direttamente, senza l’ausilio di altri dispositivi annessi) ma che allo stato attuale delle cose presentano deficit in flessibilità di utilizzo e sono quindi screditati rispetto ai concorrenti. Gli occhialini d’altro canto, sono un oggetto non sempre amato da tutti, poichè scomodi e fastidiosi, necessari appunto e con un effetto filtro che penalizza la luminosità delle immagini ecc... Proprio in questo momento Toshiba annuncia che metterà sul mercato una serie di tre televisori autostereoscopici. La velocità con cui queste tecnologie progredisce è davvero spaventosa e si può affermare con sufficiente sicurezza che nel momento in cui l’autostereoscopia colmerà le sue lacune, assumerà anche il ruolo di “killer application”, tutto cambierà di nuovo, ed il 3D potrà essere considerata davvero e senza riserve di parte, la nuova frontiera dell’intrattenimento. In ogni caso tutto questo dovrà essere confermato, approvato ed acquistato dal consumatore, che gioca un ruolo di prim’ordine nella partita. I risultati al botteghino delle ultime stagioni sembrano confermare l’interesse di quest’ultimo per la nuova tecnologia, ma attenzione che il consumatore è sempre stato esigente; un’impresa importante, da svolgersi parallelamente all’investimento nella produzione di hardware che supporta il 3D, è la continua produzione di contenuti da fruire, cercando il più possibile di mantenere alta la qualità (cosa che come vedremo tra poco non sempre è stata in cima alle priorità); un atteggiamento attento e lungimirante non può che generare sempre più interesse, soddisfazione quindi domanda e conseguente sviluppo del settore.
3D oggi vuol però ancora dire cinema; infatti l’interesse nell’ultimo anno è molto aumentato, parliamo del 2010, che grazie all’uscita nelle sale di numerosi film in 3D, ha registrato degli ottimi risultati al box office mondiale conducendo l’industria ad una risalita dalla fase negativa che stava attraversando negli ultimi tempi; gli esercenti esultano finalmente dopo un periodo di continue lamentele; la pirateria come un virus incurabile ha minato gravemente il settore: il pubblico vuole vedere i contenuti ma non vuole pagare per vederli quindi trova il modo di procurarseli illegalmente o come ultima spiaggia ne fa a meno; come si può ovviare a ciò? Offrendo qualcosa di interessante ed appetitoso che però può essere ottenuto solo pagando il biglietto. Ecco che Tutti i riflettori sono quindi puntati sulla questione: “Il 3D sarà il futuro del cinema?”
Dopo la panoramica sulla questione home entertainment 3D che abbiamo affrontato poco fa, sembra logico presumere che con l’introduzione di prodotti consumer 3D, compariranno illegalmente anche i relativi contenuti 3D su cui mettere le mani senza dover spendere.
Ma questa poco felice previsione non basta ad oscurare il panorama florido che ci sembra di scorgere.
Ci pensa James Cameron a mettere una buona, buonissima parola per quanto riguarda il futuro e le potenzialità della terza dimensione: il regista di Avatar, film record assoluto di incassi a livello mondiale, in un articolo redatto da Sangwon Yoon per il web, afferma che in meno di 25 anni il 3D sostituirà il 2D e sarà lo standard leader per la fruizione di film, televisione, contenuti online, sport. Egli sostiene inoltre che la vera sfida negli anni a venire sarà quella di produrre contenuti sufficienti a coprire la richiesta, ed è importante che siano contenuti di qualità. A questo proposito è opportuno introdurre un discorso che riguarda appunto la qualità: Avatar si presenta come il promotore del nuovo modo di fare cinema, tecnicamente ineccepibile mostra a pieno regime le potenzialità della stereoscopia nativa, sfruttata in maniera corretta; gli spettatori questo lo hanno capito ed hanno preferito vederlo in una sala attrezzata per il 3D; il film ha ottenuto un consenso di pubblico tale che si è parlato per un periodo di “effetto Avatar” nel riferirsi all’affluenza di pubblico ed agli incassi che non si son potuti paragonare nemmeno lontanamente con le medie annuali degli anni precedenti. Sulla scia di quest’estro generale, molti film di imminente uscita, i quali non erano stati girati in 3D (ossia con l’ausilio di una camera stereoscopica con due obiettivi ravvicinati), sono stati convertiti digitalmente per poter la visione stereoscopica, spesso in maniera frettolosa e poco accurata; i casi di riconversione riguardano per esempio film come Alice in Wonderland di Tim Burton, Clash of The Titans di Louis Leterrier e The Last Airbender di M.Night Shamalan (discorso a parte deve essere fatto per i titoli sviluppati in CGI, come Dragon Trainer, UP e Toy Story 3, in quanto si tratta di procedimenti radicalmente differenti). Il caso dell’insuccesso di Clash of The Titans, ci aiuta a capire quanto una riconversione dell’ultimo minuto o comunque realizzata in maniera sommaria per poter aumentare il prezzo del biglietto a discapito della qualità, sia deleteria; personalmente sarei propenso a fare di tutta l’erba un fascio e considerare un film convertito come degno di essere visto in 2D, nella sua forma nativa, ma questo è un parere, mi rendo conto, un pò radicale. Come possiamo constatare leggendo sul sito TheWarp.com, un articolo di Steve Pond lascia trasparire chiaramente l’esito dell’ultimo 3DNext Summit di Culver City: “Hey 3D enthusiasts, filmmakers and professionals... not so fast!” che si traduce in una volontà di promuovere si il nuovo mezzo espressivo, ma di farlo con moderazione e maturità, non solo con l’intento di spremere l’arancia matura a fini commerciali perchè il sistema potrebbe crollare mentre è ancora in costruzione.
Shamalan, durante una conferenza per The Last Airbender, ha dovuto delle scuse al pubblico deluso dall’effetto tridimensionale quasi inesistente risultato di una pessima riconversione. Potrebbe essere a causa di episodi come questo che si finisce per perdere la fetta di consumatori insoddisfatti del prodotto e non attenti o comunque non in grado di distinguere 3D nativo da riconversione.
Sarà forse che James Cameron dimostra un eccesso di entusiasmo nel prevedere che saranno tutti pazzi per il 3D?
Difficile dirlo dopo che i risultati della sua politica si traducono in cifre con molti zeri, marchiate nero su bianco nei libri di record mondiali.
C’è comunque chi non è daccordo che fa sentire la sua voce, ed a farlo sono autori forse un pò conservatori e restii ad abbracciare le nuove tendenze, solo perchè non si trovano familiari ad esse o non ancora: Nolan si esprime sulla questione e mette in campo motivazioni non del tutto campate per aria ma che stanno su un piano più artistico che commerciale; egli non ritrova necessaria questa tanto agogniata profondità in un film; sarebbe il caso di analizzare l’attuale incidenza del mezzo stereoscopico come elemento utile alla narrazione per poter argomentare una tesi che faccia ricredere il regista di One Billion Batman.
Basta avere pazienza e quasi certamente il continuo utilizzo e la sempre maggiore familiarizzazione col mezzo, porteranno risultati inaspettati anche dal punto di vista artistico e non solo commerciale.
Sempre su questa lunghezza d’onda anche Coppola dovrà inventarsi una nuova scusa quando la tecnologia eliminerà definitivamente gli occhialini tanto scomodi e tanto odiati che è stato costretto a togliere durante la proiezione di Avatar per la stanchezza; forse è bene che cominci a pensarci già da ora vista la velocità con cui evolvono le cose.
D’altronde lo abbiamo già sottolineato: non c’è ancora equilibrio. Se ne potrà riparlare tra un quarto di secolo circa. Nel frattempo bisogna imparare a muoversi con intuizione e fiducia in questo scenario per riuscire a godersi lo spettacolo (in 3D). In realtà il vero spettacolo potrebbe essere già iniziato e considerate le premesse, il finale potrebbe essere più che soddisfacente.
Possiamo azzardare a conferirgli il ruolo di “padre” della comunicazione moderna, quella che avviene tra un soggetto ed un altro soggetto-oggetto, quest’ultimo spesso rappresentato dallo schermo. E’ difficile immaginarsi la multimedialità, come la conosciamo noi, nella sua forma più evoluta, che oggigiorno invade capillarmente ogni settore delle nostre vite, come un’entità non imparentata alla lontana con la cinematografia, in quanto forma di espressione visiva, nata all’inizio del secolo scorso.
L’immagine di un individuo che si relaziona in maniera sostanzialmente passiva con un’entità così astratta quanto reale, che si manifesta ad esso come una finestra verso un’altra dimensione, è la trasposizione di ciò che sta avvenendo al rapporto tra l’uomo ed il cinema.
Dalla sua nascita, il cinema ha compiuto un percorso di evoluzione fortemente influenzato dalla commistione tra innovazioni tecnologiche e stile/genere narrativo. Talvolta i momenti di forte cambiamento si sono rivelati traumatici per il sistema poichè, in quanto tali, hanno rivoluzionato non solo il prodotto cinematografico in senso stretto, quanto tutto il sistema tecnico, economico, commerciale, sociale che è in rapporto di simbiosi ed in costante crescita con esso.
Sorge spontaneo supporre che in corrispondenza del raggiungimento di questi stadi progressivi, si sia verificata l’introduzione di nuovi standard, nuovi linguaggi, nuovi veri e propri fenomeni sociali: la televisione, per esempio, che vide la luce negli anni ’30, può essere considerata una discendente del grande schermo dal punto di vista narrativo e concettuale dei contenuti trasmessi, ma una discendente non così diretta, dal punto di vista tecnico, come sappiamo.
In quel periodo, infatti, più precisamente nel 1927, atterrò sul pianeta cinema il sonoro: per la prima volta una componente sonora è sincronizzata alle immagini che scorrono sullo schermo. Le conseguenze di ciò sono innumerevoli in ogni ambito e decisamente importanti.
Il maestro del thriller Alfred Hitchcock, nella celebre intervista a cura di Francois Truffaut, ricorda le vicende legate alla produzione del suo primo film contenente scene sonorizzate; difficoltà dal punto di vista tecnico durante le riprese sul set (dovute alla necessità di avere le voci registrate in tempo reale), elevati costi delle attrezzature per la presa diretta del suono e più di ogni altra cosa la consapevolezza che una innovazione di questo tipo avrebbe per sempre stravolto il modo di fare cinema: i grandi maestri del film muto di quell’epoca, abituati e soprattutto capaci di comunicare attraverso le immagini “sorde”, seguendo la loro corrente artistica, studiando in maniera approfondita e passionale il linguaggio da adoperare ed attuare sullo schermo, si sono visti nelle mani, con l’arrivo del sonoro, un’arma a doppio taglio, capace di arricchire piacevolmente e degnamente le loro opere, ma anche, se sottovalutata, di mutilare la componente comunicativa del decoupage, tentandoli con la comodità di un narratore sicuramente più immediato e semplice da mettere in campo. Ma non c’è dubbio che questi uomini di cinema avrebbero saputo come relazionarsi con i nuovi mezzi, senza cadere nel tranello; Hitchcock è un esempio per tutti ed i suoi film sarebbero cresciuti negli anni assieme alla tecnologia, ma mai sottomessi ad essa in maniera miope. La questione riguarda invece i registi cresciuti nell’epoca del sonoro, che han svuotato di significato le immagini per farle letterlamente parlare. Può essere considerato un passo indietro? Un cambiamento di stile, sicuro, ma verso un impoverimento del linguaggio cimenatografico? Quel che è certo è che ci si è trovato davanti ad una inevitabile trasformazione del sistema, poichè se il regista dal suo punto di vista “artistico” poteva preferire o meno il suono nel suo film, il produttore consigliava caldamente, per non dire che la esigeva, l’adozione della nuova tecnica, ed il pubblico la chiedeva a gran voce. Da questo punto di vista il cinema ha beneficiato di una forte spinta e crescita come fenomeno sociale, per cui non si può parlare di passi indietro in maniera assoluta.
Volendo definire il cinema, oltre che come fenomeno sociale, come un’arte ci troviamo a scindere due componenti distinti dell’ambito cinematografico: un piano artistico, ed un piano economico; partendo dal presupposto che in generale è difficile attribuire un valore materiale ad un bene artistico, è chiaro invece come questo sia sottomesso al valore che inevitabilmente gli viene attribuito. Suddetto valore è però la spinta che il più delle volte fa la differenza sulla bilancia: se un regista guarda al suo film come alla “concretizzazione” di un percorso, al raggiungimento di uno stato artistico e concettuale, un produttore oltre a questo, vede il più delle volte un ritorno economico; ritorno che sarà tanto maggiore quanto più sarà elevato il valore del prodotto. E questo valore intrinseco del film, che alla fine dei conti si traduce nel prezzo del biglietto che viene chiesto allo spettatore, fa la differenza sulla decisione di quest’ultimo di andare a vedere il film, quindi con l’offerta di qualcosa di speciale che giustifichi la spesa; tutto ciò si traduce nella volontà da parte di chi finanzia di voler sfruttare al massimo le innovazioni, e da parte di chi dirige, di dover stare al passo coi tempi.
(Occorre forse specificare che questo modello si applica per lo più ad una produzione commerciale, di tipo block buster o quantomeno su questa linea; risulta difficile che seguano queste dinamiche le produzioni di serie B e C, i film d’essay o indipendenti, i documentari e simili, proprio per la loro natura di rivolgersi ad un determinato tipo di pubblico e di sussistere in circuiti di nicchia.)
Questo a grandi linee è il concetto sul quale si basa il motore perpetuo che gestisce una buona fetta della produzione cinematografica ma anche di audiovisivi più in generale perchè come abbiamo detto, le trasformazioni avvengono a livello di sistema ed interessano col tempo tutti i settori. Sarà questa la filosofia, che andremo ad indagare rispetto alle ultimissime innovazioni in fatto di resa stereoscopia delle immagini, o meglio di 3D.
Prima però torniamo indietro di qualche decennio, nel momento in cui le sale cinematografiche smisero di aver bisogno di un pianista nascosto dietro allo schermo, per ricordare un successivo passo avanti (iniziato già nella seconda metà degli anni ’30, e stabilizzatosi nei successivi ’40) riguardante l’introduzione del colore, in una realtà che fino ad allora era mostrata in scala di grigi, bianco e nero. Precisiamo che non ci stiamo riferendo ai metodi di colorazione della pellicola tramite viraggio cromatico di ogni singolo frame, utilizzati sin dagli albori del cinema muto da grandi autori, uno su tutti Georges Méliès, ma dell’ingresso nel mercato cinematografico del Technicolor, che con i successivi perfezionamenti sarebbe rimasto largamente utilizzato fino agli anni ’60.
Il colore in sala non sarebbe stata una rivoluzione della portata della precedente, ma ricopre comunque una certa importanza come tappa nella storia del cinema; il colore conferisce realismo all’immagine, permette di creare giochi di stile basati sulla cromia che se resi in maniera non canonica ed impiegati come mezzo di espressione, sono in grado di completare la narrazione e guidarla addirittura.
Ovviamente il pubblico gradisce, eccome. Il marketing dei “grandi” film dell’epoca punta molto sul colore, come si può notare dalle locandine che non mancano di esaltare a caratteri cubitali la presenza del “Technicolor!”.
Abbiamo visto però, che molti autori non accolgono positivamente le novità, almeno non subito, ed anche in questo caso continuano a produrre film come han sempre fatto; bisogna ammettere che alcune volte però hanno ragione di farlo. Arriviamo dunque a parlare del fenomeno mediatico di più recente interesse, legato in gran parte alle possibilità di ritorno economico, viste le enormi somme di denaro investite in tutto il mondo dell’intrattenimento, e sul quale ci sono ancora tante tante domande che, trattandosi di una questione analizzata puramente in divenire, non troveranno risposta immediata. Stiamo parlando della stereoscopia, o con la sua accezione commerciale, il 3D.
Innanzitutto bisogna sapere che siamo di fronte ad una tecnologia giovane in maniera relativa; volendo essere pignoli, già all’epoca dei Lumière, nel 1922, venivano presentati al pubblico spettacoli adattati per essere visti in 3D; attenzione però che gli stratagemmi utilizzati erano decisamente rudimentali e si basavano sulla tecnica dell’anaglifo (ovvero due immagini sovrapposte che rappresentano il punto di vista di ciascun occhio e che tramite l’utilizzo di filtri colorati applicati a degli occhialini, danno l’illusione della profondità nel quadro); nel vicino 1932 vediamo l’introduzione delle lenti polarizzate, riscoperte però solo negli anni ’50 e ‘60, e sfruttate nelle proiezioni di numerosi film in alcune coraggiose sale (tecnologia, questa, decisamente più complessa e non priva di “effetti collaterali” per il pubblico, basata sull’esclusione attuata da parte appunto delle lenti polarizzate degli occhialini, di una delle due immagini proiettate contemporaneamente sullo schermo per ogni occhio). Al giorno d’oggi l’impiego del Digitale consente di gestire la stereoscopia in maniera decisamente migliore, per non dire ottimale, il che ha reso possibilie un utilizzo veramente esteso di questo mezzo dalle potenzialità, sembra, davvero promettenti.
Dopotutto il concetto della terza dimensione, e la curiosa attrazione verso questa illusione, sta nel costante farsi vicino del mezzo all’uomo: la stereoscopia non fa altro che tentare di ricreare sullo schermo bidimensionale la nostra visione prospettica del mondo; due occhi con due punti di vista leggermente diversi per darci la sensazione di essere all’interno di un mondo, e non di guardarne una riproduzione. Il concetto c’è da sempre, il mezzo si sta solo da ora rendendo in grado di supportarlo. Attualmente questo tramite è rappresentato dai famigerati (e talvolta definiti ridicoli) occhialini, che sono lo strumento attraverso il quale si manifesta a noi questa intrigante tecnologia.
Nel mese di giugno della rivista “Connessioni”, specializzata in Tecnologie e Tendenze nel Mondo del Building & Home Automation, troviamo un articolo di Rolando Alberti: “Il Fenomeno 3D – Da Wheatsone ai mondiali di calcio”; l’autore ci aiuta a capire cosa è stato scoperto, innovato, introdotto nel mercato dell’entertainment riguardante l’ambito del 3D, e cosa si arriverà a vedere nel prossimo periodo; Alberti affronta l’argomento da un punto di vista tecnicamente approfondito, professionale ma allo stesso tempo accessibile, fornendo una panoramica dettagliata dello stato attuale delle cose in particolare riferendosi a fette di mercato che forse non tutti sappiamo essere già state invase dalla terza dimensione. La questione è che ancora non ci siamo abituati alle proiezioni al cinema, che il settore consumer è già pronto per sfornare apparecchi e contenuti 3D: dall’home entertainment, con televisori e lettori blu-ray 3D ready, ai videogiochi, videocamere comsumer 3D, agli schermi destinati a svariati utilizzi come monitor per computers, smartphones, digital signage e soprattutto la televisione; la situazione in questo senso è alquanto caotica: in Gran Bretagna nel gennaio 2010 è stato effettuato il primo esperimento di trasmissione di un evento live in 3D, avvenuto in alcuni pub londinesi e sostenuto dal colosso SKY; il largo consenso evidentemente riscontrato ha convinto la piattaforma privata ad integrare alla normale trasmissione di contenuti premium, anche un canale 3D, che verrà infatti messo in onda il prossimo Ottobre. I punti di forza di un canale con queste caratteristiche saranno innanzitutto lo sport, che pare essere uno dei maggiori contenuti che fanno da traino a questa tecnologia, ed i film in 3D. Sorge spontaneo chiedersi ora, ma gli spettatori di un canale 3D hanno i mezzi per usufruire al meglio i contenuti? In realtà televisori con tecnologia 3D ready sono già sul mercato, con dei prezzi che non ci lasciano indifferenti ma che certamente tra qualche tempo si dimostreranno accessibili (il parallelo con quanto accadde con l’alta definizione viene spontaneo). Sembra tutto semplice e già avviato ma non è così, i problemi sono davvero molti: per esempio Samsung ha in produzione diversi modelli di TV 3D sui quali sta spingendo molto, ma una inaspettata dichiarazione della ditta ha freddato l’atmosfera; viene pubblicato sul sito ufficiale un “avvertimento per la salute”, che non è cosa da poco, in quanto riguarda gli effetti collaterali riscontrati da bambini, donne in gravidanza, anziani dopo la visione dello schermo 3D. Sicuramente una mossa necessaria per la prevenzione, ma le perplessità ci derivano dal fatto che il settore è già ad uno stadio della produzione di tecnologie per il mercato che non è compatibile con un’inversione di marcia di questa portata in quanto il capitale investito è ingente. Un altro problema da non sottovalutare è, sempre tenendo presente che ormai la produzione è avviata da diverse multinazionali high-tech, la mancanza di uno standard definito sia dal punto di vista della produzione di contenuti, che da quello della loro fruizione. E questa è una grave mancanza perchè nel momento in cui si dovrà definirlo, ogni produttore dovrà fare i conti con gli altri rivali per imporre le proprie caratteristiche tecniche come standard di mercato. Si prevede che la tecnologia più diffusa sarà quella LCD e relativi occhialini. Ed è proprio su questo componente che sussiste un altro dibattito centrale: le scuole di pensiero sono due, una che sostiene l’utilizzo degli occhiali per la visione dello schermo 3D, l’altra che punta maggiormente per la ricerca e lo sviluppo di sistemi auto-stereoscopici (in grado cioè di ricreare l’effetto della profondità nello schermo direttamente, senza l’ausilio di altri dispositivi annessi) ma che allo stato attuale delle cose presentano deficit in flessibilità di utilizzo e sono quindi screditati rispetto ai concorrenti. Gli occhialini d’altro canto, sono un oggetto non sempre amato da tutti, poichè scomodi e fastidiosi, necessari appunto e con un effetto filtro che penalizza la luminosità delle immagini ecc... Proprio in questo momento Toshiba annuncia che metterà sul mercato una serie di tre televisori autostereoscopici. La velocità con cui queste tecnologie progredisce è davvero spaventosa e si può affermare con sufficiente sicurezza che nel momento in cui l’autostereoscopia colmerà le sue lacune, assumerà anche il ruolo di “killer application”, tutto cambierà di nuovo, ed il 3D potrà essere considerata davvero e senza riserve di parte, la nuova frontiera dell’intrattenimento. In ogni caso tutto questo dovrà essere confermato, approvato ed acquistato dal consumatore, che gioca un ruolo di prim’ordine nella partita. I risultati al botteghino delle ultime stagioni sembrano confermare l’interesse di quest’ultimo per la nuova tecnologia, ma attenzione che il consumatore è sempre stato esigente; un’impresa importante, da svolgersi parallelamente all’investimento nella produzione di hardware che supporta il 3D, è la continua produzione di contenuti da fruire, cercando il più possibile di mantenere alta la qualità (cosa che come vedremo tra poco non sempre è stata in cima alle priorità); un atteggiamento attento e lungimirante non può che generare sempre più interesse, soddisfazione quindi domanda e conseguente sviluppo del settore.
3D oggi vuol però ancora dire cinema; infatti l’interesse nell’ultimo anno è molto aumentato, parliamo del 2010, che grazie all’uscita nelle sale di numerosi film in 3D, ha registrato degli ottimi risultati al box office mondiale conducendo l’industria ad una risalita dalla fase negativa che stava attraversando negli ultimi tempi; gli esercenti esultano finalmente dopo un periodo di continue lamentele; la pirateria come un virus incurabile ha minato gravemente il settore: il pubblico vuole vedere i contenuti ma non vuole pagare per vederli quindi trova il modo di procurarseli illegalmente o come ultima spiaggia ne fa a meno; come si può ovviare a ciò? Offrendo qualcosa di interessante ed appetitoso che però può essere ottenuto solo pagando il biglietto. Ecco che Tutti i riflettori sono quindi puntati sulla questione: “Il 3D sarà il futuro del cinema?”
Dopo la panoramica sulla questione home entertainment 3D che abbiamo affrontato poco fa, sembra logico presumere che con l’introduzione di prodotti consumer 3D, compariranno illegalmente anche i relativi contenuti 3D su cui mettere le mani senza dover spendere.
Ma questa poco felice previsione non basta ad oscurare il panorama florido che ci sembra di scorgere.
Ci pensa James Cameron a mettere una buona, buonissima parola per quanto riguarda il futuro e le potenzialità della terza dimensione: il regista di Avatar, film record assoluto di incassi a livello mondiale, in un articolo redatto da Sangwon Yoon per il web, afferma che in meno di 25 anni il 3D sostituirà il 2D e sarà lo standard leader per la fruizione di film, televisione, contenuti online, sport. Egli sostiene inoltre che la vera sfida negli anni a venire sarà quella di produrre contenuti sufficienti a coprire la richiesta, ed è importante che siano contenuti di qualità. A questo proposito è opportuno introdurre un discorso che riguarda appunto la qualità: Avatar si presenta come il promotore del nuovo modo di fare cinema, tecnicamente ineccepibile mostra a pieno regime le potenzialità della stereoscopia nativa, sfruttata in maniera corretta; gli spettatori questo lo hanno capito ed hanno preferito vederlo in una sala attrezzata per il 3D; il film ha ottenuto un consenso di pubblico tale che si è parlato per un periodo di “effetto Avatar” nel riferirsi all’affluenza di pubblico ed agli incassi che non si son potuti paragonare nemmeno lontanamente con le medie annuali degli anni precedenti. Sulla scia di quest’estro generale, molti film di imminente uscita, i quali non erano stati girati in 3D (ossia con l’ausilio di una camera stereoscopica con due obiettivi ravvicinati), sono stati convertiti digitalmente per poter la visione stereoscopica, spesso in maniera frettolosa e poco accurata; i casi di riconversione riguardano per esempio film come Alice in Wonderland di Tim Burton, Clash of The Titans di Louis Leterrier e The Last Airbender di M.Night Shamalan (discorso a parte deve essere fatto per i titoli sviluppati in CGI, come Dragon Trainer, UP e Toy Story 3, in quanto si tratta di procedimenti radicalmente differenti). Il caso dell’insuccesso di Clash of The Titans, ci aiuta a capire quanto una riconversione dell’ultimo minuto o comunque realizzata in maniera sommaria per poter aumentare il prezzo del biglietto a discapito della qualità, sia deleteria; personalmente sarei propenso a fare di tutta l’erba un fascio e considerare un film convertito come degno di essere visto in 2D, nella sua forma nativa, ma questo è un parere, mi rendo conto, un pò radicale. Come possiamo constatare leggendo sul sito TheWarp.com, un articolo di Steve Pond lascia trasparire chiaramente l’esito dell’ultimo 3DNext Summit di Culver City: “Hey 3D enthusiasts, filmmakers and professionals... not so fast!” che si traduce in una volontà di promuovere si il nuovo mezzo espressivo, ma di farlo con moderazione e maturità, non solo con l’intento di spremere l’arancia matura a fini commerciali perchè il sistema potrebbe crollare mentre è ancora in costruzione.
Shamalan, durante una conferenza per The Last Airbender, ha dovuto delle scuse al pubblico deluso dall’effetto tridimensionale quasi inesistente risultato di una pessima riconversione. Potrebbe essere a causa di episodi come questo che si finisce per perdere la fetta di consumatori insoddisfatti del prodotto e non attenti o comunque non in grado di distinguere 3D nativo da riconversione.
Sarà forse che James Cameron dimostra un eccesso di entusiasmo nel prevedere che saranno tutti pazzi per il 3D?
Difficile dirlo dopo che i risultati della sua politica si traducono in cifre con molti zeri, marchiate nero su bianco nei libri di record mondiali.
C’è comunque chi non è daccordo che fa sentire la sua voce, ed a farlo sono autori forse un pò conservatori e restii ad abbracciare le nuove tendenze, solo perchè non si trovano familiari ad esse o non ancora: Nolan si esprime sulla questione e mette in campo motivazioni non del tutto campate per aria ma che stanno su un piano più artistico che commerciale; egli non ritrova necessaria questa tanto agogniata profondità in un film; sarebbe il caso di analizzare l’attuale incidenza del mezzo stereoscopico come elemento utile alla narrazione per poter argomentare una tesi che faccia ricredere il regista di One Billion Batman.
Basta avere pazienza e quasi certamente il continuo utilizzo e la sempre maggiore familiarizzazione col mezzo, porteranno risultati inaspettati anche dal punto di vista artistico e non solo commerciale.
Sempre su questa lunghezza d’onda anche Coppola dovrà inventarsi una nuova scusa quando la tecnologia eliminerà definitivamente gli occhialini tanto scomodi e tanto odiati che è stato costretto a togliere durante la proiezione di Avatar per la stanchezza; forse è bene che cominci a pensarci già da ora vista la velocità con cui evolvono le cose.
D’altronde lo abbiamo già sottolineato: non c’è ancora equilibrio. Se ne potrà riparlare tra un quarto di secolo circa. Nel frattempo bisogna imparare a muoversi con intuizione e fiducia in questo scenario per riuscire a godersi lo spettacolo (in 3D). In realtà il vero spettacolo potrebbe essere già iniziato e considerate le premesse, il finale potrebbe essere più che soddisfacente.
_ Pietro Torrisi
lunedì 23 agosto 2010
Ma... er senso de ghé!?
TITOLO: The Butterfly Zone - Il Senso Della Farfalla
REGIA: Luciano Capponi
PRODUZIONE: Play Phoenix Production, 2009
Videorecensione:
(notare i preset di VideoCopilot nei titoli di testa della videorecensione... sciatti copioni!)
Trailer ufficiale:
REGIA: Luciano Capponi
PRODUZIONE: Play Phoenix Production, 2009
“Le formiche vivono per costruire il formicaio; l’uomo per costruire l’uomaio.
La differenza è che l’uomaio è globalizzato.”
La differenza è che l’uomaio è globalizzato.”
Una frase di aperutra che molto lascia trasparire il carattere globale, appunto, del film.
Un découpage poco classico e forse poco riuscito, basato, letteralmente, sull’intreccio di varie realtà, purtroppo scollegate tra di loro, probabilmente a causa delle scelte registiche piuttosto che della natura setssa delle suddette. Luciano Capponi, autore del soggetto, della sceneggiatura, nonchè regista (per la prima volta) del film, fatica a colloccarsi in un genere ben definito, e spazia senza paura scegliendo uno sfondo fantasy, su quale aggiungere sprazzi di thriller, fantascienza, commedia e dramma. Forti e piacevoli i richiami al teatro di genere, sostenuti da un registro fiabesco che talvolta cerca, senza riuscirci, di sfociare nel comico. Il neo regista ha la buona intenzione, seguendo questo filone proprio del teatro dell’assurdo, di pervadere la sua opera di quella spontaneità data dalla tecnica dell’improvvisazione, che egli suggerisce agli interpreti, i quali a loro volta sanno sfruttare l’occasione per metterla in pratica, giocandoci, padroneggiandola e riuscendo a stendere un velo omogeneo, stilisticamente parlando, sopra il racconto. Inoltre il nostro autore, sembra guidato dalla convinzione che si possa passare da una risata ad una lacrima in un battito di ali di farfalla. Ma è tutto da vedere, poichè la presenza di qualche sgraziata farfalla in grafica 3D, sia nel film che nel titolo, è ancora in attesa di una giustificazione.
Il film si apre con una sequenza singolare. Un’astronave aliena, in orbita sulla Terra, a causa uno sbaglio del pilota, lancia un fascio di energia attraverso l’atmosfera, che arriva a colpire la superficie del pianeta, più precisamente la vigna di una cascina in un piccolo paese sulle colline tosco-emiliane, provocando una qualche sorta di effetto non meglio precisato alle cose, piante animali presenti nell’area interessata. Dopo questo grossolano quanto grave errore, il colpevole viene rimproverato da qualche suo superiore, e l’astronave si allontana a gran velocità dal luogo del misfatto. Un messaggio arriva chiarissimo: da questo momento in poi, tutto è possibile, ogni azione è giustificata, e la sensazione di un potenziale latente in attesa di liberarsi pervade lo spettatore che è quindi pronto ad accettare pressochè qualunque evento gli venga proposto di li a poco. Il racconto procede con un’ellissi temporale che ci porta nel prossimo futuro e ci mostra quelli che potrebbeo a conti fatti essere i veri (ma non gli unici) protagonisti della vicenda: il padre di Vladimiro viene a mancare, ed egli tornando alla casa di famiglia (la sopracitata cascina luogo del fenomeno paranormale), ritrova l’amico di infanzia Amilcare assieme al quale una sera rievoca il passato brindando con una buona bottiglia di “Caresse du Roi”, un vino trovato in cantina e imbottigliato dal padre di Vladimiro. Questo vino misterioso ha l’effetto di trasportare chi lo beve in un’altra dimensione, ovvero il mondo dei morti. I due giovani compiono questo primo viaggio nell’aldilà, increduli e scettici, ma via via sempre più consapevoli ad ogni bottiglia stappata, tanto incuriositi quanto incoscienti. Le continue visite al regno dei defunti porteranno la resurrezione accidentale di un serial killer morto 30 anni prima, che ora potrà essere libero di continuare la sua opera nel piccolo paese. I due giovani, con l’aiuto di una detective il cui compito è di risolvere questi misteriosi omicidi, dovranno rimediare al danno, ed aprofitteranno inoltre della situazione per risolvere alcune faccende in sospeso con gli abitanti della dimensione parallela.
Un découpage poco classico e forse poco riuscito, basato, letteralmente, sull’intreccio di varie realtà, purtroppo scollegate tra di loro, probabilmente a causa delle scelte registiche piuttosto che della natura setssa delle suddette. Luciano Capponi, autore del soggetto, della sceneggiatura, nonchè regista (per la prima volta) del film, fatica a colloccarsi in un genere ben definito, e spazia senza paura scegliendo uno sfondo fantasy, su quale aggiungere sprazzi di thriller, fantascienza, commedia e dramma. Forti e piacevoli i richiami al teatro di genere, sostenuti da un registro fiabesco che talvolta cerca, senza riuscirci, di sfociare nel comico. Il neo regista ha la buona intenzione, seguendo questo filone proprio del teatro dell’assurdo, di pervadere la sua opera di quella spontaneità data dalla tecnica dell’improvvisazione, che egli suggerisce agli interpreti, i quali a loro volta sanno sfruttare l’occasione per metterla in pratica, giocandoci, padroneggiandola e riuscendo a stendere un velo omogeneo, stilisticamente parlando, sopra il racconto. Inoltre il nostro autore, sembra guidato dalla convinzione che si possa passare da una risata ad una lacrima in un battito di ali di farfalla. Ma è tutto da vedere, poichè la presenza di qualche sgraziata farfalla in grafica 3D, sia nel film che nel titolo, è ancora in attesa di una giustificazione.
Il film si apre con una sequenza singolare. Un’astronave aliena, in orbita sulla Terra, a causa uno sbaglio del pilota, lancia un fascio di energia attraverso l’atmosfera, che arriva a colpire la superficie del pianeta, più precisamente la vigna di una cascina in un piccolo paese sulle colline tosco-emiliane, provocando una qualche sorta di effetto non meglio precisato alle cose, piante animali presenti nell’area interessata. Dopo questo grossolano quanto grave errore, il colpevole viene rimproverato da qualche suo superiore, e l’astronave si allontana a gran velocità dal luogo del misfatto. Un messaggio arriva chiarissimo: da questo momento in poi, tutto è possibile, ogni azione è giustificata, e la sensazione di un potenziale latente in attesa di liberarsi pervade lo spettatore che è quindi pronto ad accettare pressochè qualunque evento gli venga proposto di li a poco. Il racconto procede con un’ellissi temporale che ci porta nel prossimo futuro e ci mostra quelli che potrebbeo a conti fatti essere i veri (ma non gli unici) protagonisti della vicenda: il padre di Vladimiro viene a mancare, ed egli tornando alla casa di famiglia (la sopracitata cascina luogo del fenomeno paranormale), ritrova l’amico di infanzia Amilcare assieme al quale una sera rievoca il passato brindando con una buona bottiglia di “Caresse du Roi”, un vino trovato in cantina e imbottigliato dal padre di Vladimiro. Questo vino misterioso ha l’effetto di trasportare chi lo beve in un’altra dimensione, ovvero il mondo dei morti. I due giovani compiono questo primo viaggio nell’aldilà, increduli e scettici, ma via via sempre più consapevoli ad ogni bottiglia stappata, tanto incuriositi quanto incoscienti. Le continue visite al regno dei defunti porteranno la resurrezione accidentale di un serial killer morto 30 anni prima, che ora potrà essere libero di continuare la sua opera nel piccolo paese. I due giovani, con l’aiuto di una detective il cui compito è di risolvere questi misteriosi omicidi, dovranno rimediare al danno, ed aprofitteranno inoltre della situazione per risolvere alcune faccende in sospeso con gli abitanti della dimensione parallela.
Questa a grandi linee la trama individuata come la principale. Sono presenti però non poche vicende parallele: gli approfondimenti volti a delineare il personaggio di Amilcare; la delicata situazione personale della detective che ha un figlio piccolo ricoverato in fin di vita; il capo della polizia locale, losco individuo in possesso di informazioni riservate riguardanti il caso del killer; un ente per la sicurezza nazionale che procede con il monitoraggio dei fenomeni paranormali dietro al quale si interavede una setta che mira ad impossessarsi del vino miracoloso per ottenere il tanto agognato controllo sul genere umano; insomma moltissimi spunti.
Il problema fondamentale sta nel fatto che si percepisce appena la differenza tra lo snodo centrale del racconto e le vicende marginali, che a loro volta si presentano come solamente accostate e poco collegate tra loro e giustificate. Troppo spesso si ha la sensazione di stare camminando sulla strada maestra salvo poco dopo accorgersi che in realtà si è in un vicolo cieco. Tutte le vicende sembrano avere lo stesso peso e potenziale e diramarsi sullo stesso piano, ma con una eterogeneità di argomenti e ‘generi’, coem in questo caso, il risultato non può che essere confuso, difficile da seguire e vicino all’eccesso. Molto contrasto e poca armonia. A riprova di ciò, non pochi i particolari seminati durante il film, che fremono per essere svelati o chiariti, ma che saranno destinati a rimanere solo un dubbio tra tanti. Simoboli satanici, religiosi, pagani, tradizionali, ruotano attorno ai personaggi, che però li schivano mestamente senza lasciarsi affascinare dal vero significato di questo cocktail di significanti. D’altronde sono tutti attratti dalle ‘carezze del Re’, il resto poco conta. Ed è per questo che ad un primo impatto ci si domanda: chi è il protagonista? Il vino capace di aprire le porte di un’altra dimensione? Un ragazzo che ha perso il padre con il quale aveva un rapporto complicato (malgrado lo scarso peso delle motivazioni che ci vengono date)? Un serial killer? Una setta di invasati? Gli immancabili alieni? (che al giorno d’oggi, sono una molto comoda e troppo comune scappatoia per giustificare senza perdere tempo tutto ciò che è surreale e fantastico...); con tutta probabilità il ruolo che andiamo cercando non lo troveremo fra questi, ma bensì in ciò che il regista vuole comunicare e nello stile che mette in atto per farlo.
Il regista stesso controbatte le critiche di chi lo ‘accusa’ di aver dato alla luce un’opera difficile da seguire e da capire rispondendo con una metafora: “La Comunità Europea impone che siano commercializzate solo le zucchine lunghe diciotto centimetri e larghe quattro. Io invece ho piantato un seme italiano e ho fatto crescere la pianta in tutta libertà, senza costrizioni. Il mercato impone che siano realizzati prodotti rispondenti a determinati standard; io invece amo seguire una maggiore libertà espressiva”. Ben venga. Ma attenzione. La libertà espressiva può rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Bisogna quantomento saperla usare fino in fondo facendola servire allo scopo. Non basta sguinzagliarla. E di questo, il neo regista, se già non ne è consapevole, presto lo sarà. Abbiamo parlato di tentativi di legare idee, spunti, sensazioni... l’altro lato della medaglia mostra che tutto questo è degnamente sostenuto da, sì, belle immagini. Molto scenografiche, si sente una vena teatrale forte ma non invadente, le immagini sono ricche di particolari e pervase da una poetica che segue sempre il racconto. I fondali ricercati e curati dall’aspetto cromatico degli elemnti a quello delle loro forme materiali, aiutano più dei personaggi che li abitano a lasciarsi andare all’atmosfera onirica. Nel mondo dei vivi troviamo personaggi (e relativi interpreti) fondamentalmente spaesati e per una ragione o per l’altra non del tutto all’altezza. Vengono messe loro in bocca parole carismatiche e domande trascendentali, che però non trovano dove affondare le radici in un terreno così superficiale e povero di cultura, come quello su cui si trovano a dover camminare. Non ci sono risate: nè da parte del pubblico, che in più di una occasione si trattiene per paura che causa di ilarità non sia il racconto ma la resa dello stesso; nè da parte dei personaggi, poichè gli attori nel momento in cui nella sceneggiatura compare il verbo ‘ridere’, riescono a rendere nella maniera più innaturale, un’azione la quale caratteristica principale è proprio la naturalezza. E non sto parlando di carenza di improvvisazione, che come detto è invece un punto di forza della recitazione. Nel mondo dei morti si evidenzia uno stile contraddistinto per delineare la diversità del luogo: colori desaturi e circostanze inusuali. I personaggi incontrati qui sono decisamente delle maschere, nel modo di vestire, di muoversi, soprattutto di parlare. Buona la soluzione registica che contraddistingue questo ambiente.
C’è forse da chiedersi come abbia fatto la giuria ad assegnare alla pellicola il premio Méliès come miglior film fantastico al Fantafestival 2009, ma non per il riconoscimento in quanto tale, quanto per la motivazione, ossia la “capacità di spaziare tra i generi”. Pregevole per altri aspetti (certe idee, compreso il concetto stesso del vino come porta per altri mondi, metafora riuscitissima), ma la commistione dei generi proprio non è il punto di forza; in ogni caso è lodevole la determinazione di produrre un film come questo, in uno stato come l’italia contemporanea, dove le pellicole indipendenti non sempre hanno spazio e visibilità, soprattutto per generi come quelli trattati.
Il regista stesso controbatte le critiche di chi lo ‘accusa’ di aver dato alla luce un’opera difficile da seguire e da capire rispondendo con una metafora: “La Comunità Europea impone che siano commercializzate solo le zucchine lunghe diciotto centimetri e larghe quattro. Io invece ho piantato un seme italiano e ho fatto crescere la pianta in tutta libertà, senza costrizioni. Il mercato impone che siano realizzati prodotti rispondenti a determinati standard; io invece amo seguire una maggiore libertà espressiva”. Ben venga. Ma attenzione. La libertà espressiva può rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Bisogna quantomento saperla usare fino in fondo facendola servire allo scopo. Non basta sguinzagliarla. E di questo, il neo regista, se già non ne è consapevole, presto lo sarà. Abbiamo parlato di tentativi di legare idee, spunti, sensazioni... l’altro lato della medaglia mostra che tutto questo è degnamente sostenuto da, sì, belle immagini. Molto scenografiche, si sente una vena teatrale forte ma non invadente, le immagini sono ricche di particolari e pervase da una poetica che segue sempre il racconto. I fondali ricercati e curati dall’aspetto cromatico degli elemnti a quello delle loro forme materiali, aiutano più dei personaggi che li abitano a lasciarsi andare all’atmosfera onirica. Nel mondo dei vivi troviamo personaggi (e relativi interpreti) fondamentalmente spaesati e per una ragione o per l’altra non del tutto all’altezza. Vengono messe loro in bocca parole carismatiche e domande trascendentali, che però non trovano dove affondare le radici in un terreno così superficiale e povero di cultura, come quello su cui si trovano a dover camminare. Non ci sono risate: nè da parte del pubblico, che in più di una occasione si trattiene per paura che causa di ilarità non sia il racconto ma la resa dello stesso; nè da parte dei personaggi, poichè gli attori nel momento in cui nella sceneggiatura compare il verbo ‘ridere’, riescono a rendere nella maniera più innaturale, un’azione la quale caratteristica principale è proprio la naturalezza. E non sto parlando di carenza di improvvisazione, che come detto è invece un punto di forza della recitazione. Nel mondo dei morti si evidenzia uno stile contraddistinto per delineare la diversità del luogo: colori desaturi e circostanze inusuali. I personaggi incontrati qui sono decisamente delle maschere, nel modo di vestire, di muoversi, soprattutto di parlare. Buona la soluzione registica che contraddistingue questo ambiente.
C’è forse da chiedersi come abbia fatto la giuria ad assegnare alla pellicola il premio Méliès come miglior film fantastico al Fantafestival 2009, ma non per il riconoscimento in quanto tale, quanto per la motivazione, ossia la “capacità di spaziare tra i generi”. Pregevole per altri aspetti (certe idee, compreso il concetto stesso del vino come porta per altri mondi, metafora riuscitissima), ma la commistione dei generi proprio non è il punto di forza; in ogni caso è lodevole la determinazione di produrre un film come questo, in uno stato come l’italia contemporanea, dove le pellicole indipendenti non sempre hanno spazio e visibilità, soprattutto per generi come quelli trattati.
_ Pietro Torrisi
Videorecensione:
(notare i preset di VideoCopilot nei titoli di testa della videorecensione... sciatti copioni!)
Trailer ufficiale:
venerdì 20 agosto 2010
OMG!
"della serie mi pagano un sacco di soldi... e mi devo umiliare."
_ *ignoto (http://testamentodellignoto.blogspot.com/)
sabato 7 agosto 2010
Citazioni da Eros & Thanatos
...
"La pelle umana delle cose, il derma della relatà,
ecco con cosa gioca anzitutto il cinema."
"Penso che, se il Diavolo non esiste, ma lo ha creato l'uomo,
lo ha creato a sua immagine e somiglianza."
"Se è vero che l'arte è pazienza,
il cinematografo è la più sublime di tutte le arti."
"Tre persone possono tenere un segreto
solo se due di loro sono morte."
"L'atto sessuale è nel tempo quel che la tigre è nello spazio."
"E' tanto più facile ricambiar l'offesa che il beneficio;
perchè la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto."
"Da ogni spettacolo cinematografico mi accorgo di tornare,
per quanto mi sovegli, più stupido e più cattivo."
"Sentiamo e sappiamo di essere eterni."
"La vita reale è soltanto un riverbero dei sogni dei poeti.
Le corde della lira dei poeti moderni sono interminabili pellicole di celluloide."
"Un cetriolo va affettato con cura, condito con pepe e aceto
ed infine buttato via, come buono a niente."
"La pelle umana delle cose, il derma della relatà,
ecco con cosa gioca anzitutto il cinema."
_Antonin Artaud
"Penso che, se il Diavolo non esiste, ma lo ha creato l'uomo,
lo ha creato a sua immagine e somiglianza."
_Dostoevoskij
"Se è vero che l'arte è pazienza,
il cinematografo è la più sublime di tutte le arti."
_Emma Gramatica
"Tre persone possono tenere un segreto
solo se due di loro sono morte."
_Benjamin Franklin
"L'atto sessuale è nel tempo quel che la tigre è nello spazio."
_Georges Bataille
"E' tanto più facile ricambiar l'offesa che il beneficio;
perchè la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto."
_Tacito
"Da ogni spettacolo cinematografico mi accorgo di tornare,
per quanto mi sovegli, più stupido e più cattivo."
_Adorno
"Sentiamo e sappiamo di essere eterni."
_Spinoza
"La vita reale è soltanto un riverbero dei sogni dei poeti.
Le corde della lira dei poeti moderni sono interminabili pellicole di celluloide."
_Kafka
"Un cetriolo va affettato con cura, condito con pepe e aceto
ed infine buttato via, come buono a niente."
_Samuel Johnson
mercoledì 4 agosto 2010
Grace, va bene lo spettacolo di mezzanotte?
Il carattere regressivo dell'identificazione
"L'identificazione rappresenta la forma più primitiva dell'attaccamento affettivo... Accde spesso che la scelta dell'oggetto libidicoceda il posto all'identificazione..."
Ogni volta che Freud è portato a descrivere questa trasformazione della scelta d'oggetto (dell'ordine dell'avere) in identificazione all'oggetto (dell'ordine dell'essere), egli ne sottolinea il carattere regressivo: questo passaggio all'identificazione esprime una regressione a uno stadio anteriore della relazione all'oggetto, uno stadio più primitivo, più indifferenziato all'attaccamento libidico all'oggetto. E questa regressione, il più delle volte, si instaura su uno stato di mancanza o di solitudine (vale a dire mancanza riguardante altri).
Lo stato regressivo dell'identificazione rittiva nel soggetto una relazione oggettuale caratteristica della fase orale. La fase orale riguarda l'organizzazione della libido, durante l aquale si incorpora l'oggetto amato e desiderato mangiandolo, vale a dire sopprimendolo.
A questo, che riguarda l'identificazione in generale, si aggiunga che nel caso particolare del cinema anche le condizioni della proiezione (oscurità della sala, inibizione motoria del soggetto, sua passività di fronte al flusso delle immagini) rinforzano pressochè artificialmente la regressione allo stato orale.
Questa struttura orale dell'identificazione si caratterizza essenzialmente per l'ambivalenza, l'indistinzione interno/esterno, attivo/passivo, agire/subire, mangiare/essere mangiati.
Si ritroverebbe in tale indistinzione il modello del rapporto che il lattante intrattiene col seno, oppure che colui che sogna intrattiene con lo 'schermo del sogno'.
In questa incorporazione orale che caratterizzerebbe il rapporto dello spettatore col film, l'orifizio visivo ha rimpiazzato l'orifizio boccuale, l'assorbimento di immagini è al tempo stesso assorbimento del soggetto nell'immagine, preparato, predigerito dalla sua entrata nella sala buia.
Grace, andiamo al cinema?
Il carattere narcisistico dell'identificazione
L'identificazione è una regressione di tipo narcisistico nella misura in cui essa permette di restaurare nell'Io l'oggetto assente o perduto e di negarne l'assenza o la perdita.
L'identificazione da la possibilità al soggetto di soddisfarsi senza ricorrere all'oggetto esteriore.
L'identificazione permette di ridurre o di sopprimere la relazione ad altri (narcisismo assoluto).
Se l'identificazione all'altro consiste nell'erigerlo nell'Io, questa relazione narcisistica può tendere a supplire alle incertezze di una scelta oggettuale. Il processo non manca di ricordare il 'ripiegamento' del feticista sul feticcio, manipolabile a volontà, disponibile in permanenza in un ordinedelle cose svincolato da ogni relazione reale ad altri e dai suoi rischi.
L'identificazione narcisistica tenderebbe dunque a valorizzare la solitudine e la relazione fantasmatica a discapito della relazione oggettuale, e si presenterebbe come una soluzione di ripego nell'Io, lontano dall'oggetto.
Questa componente narcisistica dell'identificazione, questa inclinazione alla solitudine, a ritirarsi dal mondo, entra largamente in gioco nel desiderio di andare al cinema.
Così si potrebbe dire che il cinema, e soprattutto il cinema di finzione così come esso si è costituito istituzionalmente, implica sempre uno spettatore in stato di regressione narcisistica, vale a dire ritirato dal mondo in quanto spettatore.
L'identificazione da la possibilità al soggetto di soddisfarsi senza ricorrere all'oggetto esteriore.
L'identificazione permette di ridurre o di sopprimere la relazione ad altri (narcisismo assoluto).
Se l'identificazione all'altro consiste nell'erigerlo nell'Io, questa relazione narcisistica può tendere a supplire alle incertezze di una scelta oggettuale. Il processo non manca di ricordare il 'ripiegamento' del feticista sul feticcio, manipolabile a volontà, disponibile in permanenza in un ordinedelle cose svincolato da ogni relazione reale ad altri e dai suoi rischi.
L'identificazione narcisistica tenderebbe dunque a valorizzare la solitudine e la relazione fantasmatica a discapito della relazione oggettuale, e si presenterebbe come una soluzione di ripego nell'Io, lontano dall'oggetto.
Questa componente narcisistica dell'identificazione, questa inclinazione alla solitudine, a ritirarsi dal mondo, entra largamente in gioco nel desiderio di andare al cinema.
Così si potrebbe dire che il cinema, e soprattutto il cinema di finzione così come esso si è costituito istituzionalmente, implica sempre uno spettatore in stato di regressione narcisistica, vale a dire ritirato dal mondo in quanto spettatore.
martedì 3 agosto 2010
He thinks Dynamic tension, must be hard work.
"Noi riteniamo che scopare, o 'avere rapporti sessuali' (come se ogni tipo di rapporto, o ogni forma di attività umana, non fossero già 'sessuali), sia la più alta forma di comunicazione umana.
La più basilare.
Scopare è scopare.
Tutto il resto si limita a girare attorno al sesso.
Non puoi avvicinarti di più a un'altra persona se non quando sei dentro di lei, o quando avvolgi lui, o forse viceversa per i nostri fratelli e sorelle omosessuali, così euforici;
anche il Rock'n'Roll e fumare l'erba, per quanto estremi, non arrivano al sodo come scopare.
Noi comunque suggeriamo la combinazione delle tre tecniche: scopare, fumare e il rock, in sincronia."
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